WELCOME TO CONA, ITALY

Sulla morte di Sandrine Bakayoko al centro accoglienza di Cona.

Il centro d’accoglienza di Cona è un uno spazio ricavato all’interno della ex base missilistica del paese. E’ un’isola di confinamento in mezzo ad un mare di odio che da mesi si abbatte sui migranti che sono stati ricollocati nei pochi comuni del Veneto che hanno scelto di collaborare con il piano nazionale di accoglienza, in attesa del riconoscimento dell’asilo politico.

La struttura di Cona dovrebbe essere finalizzata all’accoglienza di quelle donne e quegli uomini liberi che, sulla base delle convenzioni internazionali, dopo mesi di viaggio hanno diritto a cure mediche, a percorsi di inserimento sociale e lavorativo, a un luogo confortevole dove riprogettare la propria vita.
Nella realtà dei fatti però Cona non è altro che la rappresentazione di come è intesa l’accoglienza in gran parte dei comuni italiani: non come l’occasione per sperimentare efficaci meccanismi di integrazione, ma come contesa di appalti milionari (a discapito della qualità della vita degli ospiti) e fabbrica di marginalità e degradazione umana. In altre parole un prolungamento delle frontiere respingenti che hanno dovuto attraversare nel viaggio verso l’Europa. Luoghi tramite i quali il soggetto migrante viene fatto percepire come un problema in modo tale da far calare un velo di silenzio e legittimazione sulla discrezionalità e l’indecenza della gestione dei centri d’accoglienza.

In questo contesto (raccontato in maniera dettagliata in questa inchiesta: http://corrieredelveneto.corriere.it/…/quattro-euro-l-ora-i…), ieri è morta Sandrine Bakayoko, una ragazza di 25 anni “colpevole” del reato di essere nata in Costa d’Avorio. Una ragazza da giorni sofferente e che, trovata priva di sensi, ha dovuto aspettare un’ambulanza per troppo tempo prima di essere soccorsa. E’ morta nel bagno fatiscente di quel centro che non ha neanche uno statuto giuridico (non è un Cas, né un Hub, ma una struttura temporanea come i diritti di chi vi è ospitato), un luogo senza diritti che diversi Osservatori avevano già denunciato per la poca igiene, per la mancanza di assistenza sanitaria e l’assenza di tutela alla dignità personale.

Non possiamo stupirci se qualche ora dopo la rabbia di chi vive nelle stesse condizioni di Sandrine e l’ha vista morire da sola è esplosa. Luoghi del genere non devono esistere.

La gestione approssimativa, lo sfruttamento affaristico delle risorse, la costante etichetta apposta sui corpi dei migranti tale da identificarli come un pericolo ed un problema non può che generare luoghi di esclusione e tensione dove questi episodi diventano la doloroso testimonianza del razzismo istituzionale che li produce e alimenta.

Davanti a fatti e dinamiche così allarmanti l’indirizzo politico su scala nazionale ufficializzato pochi giorni fa dal ministro Minniti è quello di istituire nuovamente i Centri di Identificazione ed Espulsione in ogni regione italiana, anche in quelle città dove erano stati chiusi sotto la spinta dei movimenti e delle rivolte dei detenuti, esasperati dalla barbarie della detenzione amministrativa.

Nonostante sia evidente la necessità di ripensare un sistema di accoglienza e introdurre percorsi di arrivo sicuri e garantiti, il nuovo ministro annuncia politiche di detenzione e deportazione sull’impronta del partito di Salvini, optando per scelte che inevitabilmente andranno a criminalizzare ancora di più la figura del migrante, come successe nel 2009 con l’inserimento del reato di clandestinità nell’ordinamento penale italiano. Obbligare all’illegalità per produrre questo circuito di marginalizzazione, violenza, business, esclusione.

Insomma, di fronte alla mancanza più totale di diritti, come dimostra la morte di Sandrine, la soluzione bipartisan prospettata da Lega Nord, PD e 5S è la stessa: retate e controlli contro i migranti, la riapertura e il finanziamento di nuovi CIE, la criminalizzazione delle proteste dei migranti, la restrizione del diritto d’asilo

Bisogna ribellarsi contro questo razzismo ammantato di legalità e sicurezza. E’ sempre più necessario dar voce a quel pezzo significativo di società che non intende accettare il ritorno dei CIE e che non rinuncia a costruire percorsi di cittadinanza e di accoglienza degna nelle città, molto più sostenibili della paura, della guerra tra poveri, del razzismo istituzionale.

NESSUNO/A E’ ILLEGALE
LIBERTA’ DI MOVIMENTO PER TUTTI E TUTTE
MAI PIU’ CIE
NO BORDERS